Stoner – John Williams

Da tempo mi incuriosiva questo romanzo di John Williams: uscito negli Stati Uniti nel 1965 e passato quasi inosservato, è stato ristampato negli anni fino a diventare un caso letterario. Io lo considero un piccolo capolavoro. Per com’è scritto e per come sa parlare al lettore. Sono d’accordo con quanto afferma Peter Cameron nella postfazione all’edizione italiana: “la qualità della scrittura, la pacatezza e sensibilità, l’implacabile chiarezza abbinata a un tocco delicato conferiscono al romanzo una profondità straordinaria”.

Stoner racconta la storia di un tranquillo professore universitario della provincia americana a partire dal 1910, anno del suo ingresso all’università, fino alla morte avvenuta nel 1956. Cresciuto in una fattoria del Missouri, scopriamo le sue umili origini, la fame, gli stenti. I suoi genitori, due contadini male in arnese, ancora giovani ma consumati anzitempo dal duro lavoro, grazie ai molti sacrifici riescono a mandarlo all’università, sperando di farne un agronomo in grado di risollevare le sorti della fattoria di famiglia. All’università, però, Stoner si appassiona alla letteratura inglese, così interrompe gli studi di Agraria e si dedica alla sua passione. Dopo la laurea consegue un dottorato di ricerca e inizia ad insegnare. Conosce una ragazza, Edith, e la sposa.

In questa prima parte del romanzo la parola che ricorre più spesso è “inespressivo”. Inespressivi sono i volti dei suoi genitori che nella loro vita hanno conosciuto solo fatica e sacrifici. Inespressivi sono gli occhi di sua moglie Edith, dal comportamento passivo-aggressivo e con un trauma alle spalle che l’autore ci lascia solo intuire.

La vita di Stoner è scandita dai vari semestri all’università, dai corsi che tiene di fronte a studenti sempre diversi e dal susseguirsi delle stagioni. Lo vediamo sopportare stoicamente le angherie di una moglie manipolatrice che fa di tutto per allontanarlo dalla loro figlia. Durante la guerra, non se la sente di abbracciare l’idealismo di alcuni colleghi che si arruolano e vanno a combattere in Europa, a costo della vita, come accade al suo amico David. E quando finalmente trova l’amore è costretto a rinunciarvi.

L’unica cosa che sembra tenerlo ancorato alla vita è la fiducia nell’istituzione universitaria:

“La curiosità, l’entusiasmo infaticabile dello studente, la cui condizione è sempre senza età, è ciò che avevano mantenuto in vita Stoner, che non lo avevano mai tradito”.

È qui che Stoner si sente al sicuro da un mondo che gli ha riservato solo dolore. E per difendere questo luogo è disposto a tutto. Infatti, l’unica volta in cui lo vediamo ribellarsi è quando si oppone con tutto se stesso all’ammissione di un aspirante dottorando, secondo lui immeritevole, l’arrogante Walker, il “protetto” di un potente collega. La scena in cui, durante l’esame di ammissione, Stoner smonta pezzo per pezzo la sua ampollosa esposizione è semplicemente magistrale. Incalzato dal fuoco di fila delle domande di letteratura inglese che Stoner gli rivolge, Walker si sgonfia fino a ridursi ad un ammasso insicuro e balbettante. E poco importa se così facendo si guadagna l’inimicizia e l’ostilità imperitura del potente collega. Per Stoner, che il suo amico David aveva soprannominato “Don Chisciotte del Midwest”, l’Università è un rifugio dal mondo esterno, un rifugio per tutti gli storpi, gli infelici, i diseredati e dunque avrebbe sempre lottato per tenervi fuori i vari Walker.

Al di fuori dello studio, della lettura e delle lezioni Stoner sembra vivere una vita di “quieta disperazione”, per citare Thoreau. E quando il lettore comincia a chiedersi da dove gli derivi la sua incapacità di ribellarsi, la risposta arriva da questo passo struggente:

“Anche se ripensava di rado alla sua infanzia nella fattoria di Booneville, conservava la coscienza del proprio sangue e dell’eredità lasciatagli dai suoi antenati, con le loro vite oscure, faticose e stoiche, e un’etica che gli imponeva di offrire al mondo tiranno visi sempre inespressivi, rigidi e spenti”.

Stoner è una bellissima riflessione sul significato della vita, sulla felicità. Stoner siamo tutti noi.

 

John Williams, Stoner, Fazi Editore, 2019, 333 pp.

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